I kalashnikov di Paolo Rumiz

16 aprile 2014

Un giorno mi chiesero il motivo per cui provo un attaccamento morboso per tutti i paesi che si celano al di là del confine orientale italiano. Ho tentato di dare una risposta, ma con scarsi risultati. Oggi, però, so chi può rispondere al posto mio, Paolo Rumiz, all’indomani del suo (bellissimo) pezzo pubblicato per OBC, che così analizza il suo amore per i Balcani: «Potrei parlarvi di odio e scannamenti, di profughi e kalashnikov; dirvi di una terra lacerata con l’occhio gelido della geopolitica. Invece no. Vi dirò dei suoni di un mondo inquieto, dell’acustica che nasconde l’anima dei suoi luoghi. La mia anima è piena di quelle frequenze. Essa li cerca come Orfeo e la sua cetra, gli va dietro oltre il confine del mondo dei vivi, là dove abita Persefone. Sente che quei suoni partigiani resistono alla grande omologazione globale, alla tirannia del pensiero unico». Ma varrebbe la pena leggerlo tutto, una lezione di vita e scrittura…

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