waterface, una sera con neil

22 aprile 2015

la disanima…

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neil young e agrate brianza, come dire i pinguini e il fezzan libico. così vedendo che c’era qualcosa del genere in programma non ho potuto fare a meno di rallegrarmi. mi informo e scopro che è la proposta del mio primo e indimenticato maestro di chitarra e di un tipo che negli anni ho intravisto solo qualche volta: per esempio il giorno in cui si esibì prima del magico david bromberg. lo show si intitola waterface ed è la storia della trilogia oscura di neil young. che ha segnato anche il mio cammino esistenziale. tre dischi bellissimi, fra i migliori a parer mio della discografia del canadese. così sapendo dell’evento mi sono organizzato fin da subito per schivare impegni e farmi trovare pronto per la grande occasione. angelo. prima mi dice che viene, e poi quando sono là, com’è logico, mi dice che non viene. ci mandiamo affanculo, e vado da solo allo spettacolo. arrivo che la sala è discretamente piena. gli agratesi come potevasi sospettare sono il cinque percento. meglio così. scambio due parole con qualche amico, mi sistemo in fondo e mi godo lo show. topico l’inizio in cui entra pj e suona needle of the damage done con la chitarra acustica. credo di averlo sentito suonare l’ultima volta negli anni ottanta. un grande piacere. scoprire soprattutto che la suona ancora bene, visto che il pezzo è tutt’altro che semplice e richiede una discreta maestria nel fingerpicking. da lontano pj, benché indossi una caratteristica camicia a quadri, non mi sembra neil young ma everett degli eels, o semmai suo padre, hugh everett III altro grande mito, genio della meccanica quantistica. pj canta e racconta, con malizia, spontaneità, disinvoltura, e si è sparati di colpo negli anni settanta. poi entrano i rusties che dal vivo non avevo mai visto ma che mi hanno recentemente intrigato con la cover di un pezzo dei supertramp, quasi la parafrasi di ragazzo solo, ragazza sola, di bowie. sono bravissimi. colpisce la capacità di marco di cantare i brani di neil e il sound di soli quattro elementi, potente, equilibrato, struggente. pj ogni tanto affianca il bassista per i cori, mentre sfilano in bianco e nero le immagini di neil e dei suoi amici. le canzoni di neil, certo, e la cronistoria reinterpretata di quegli anni incredibili. sono spesso ricordi cupi, l’eroina, i tour infiniti, il figlio di neil che ha bisogno di cure. ogni tanto lo sfondo di altri giganti, stills e nash e crosby. ma lo spettacolo tiene benissimo per oltre due ore, e vivo è il pensiero che siano troppo poche due date. me ne vado in bici per la serata di primavera e per i tre giorni successivi non faccio che ascoltare vampire blues. così vanno le cose. grazie neil, grazie padrino del grunge, grazie waterface.


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