Complice la notte di San Patrizio, cambio completamente repertorio e mi cimento con Shane McGowan, Mike Scott, Karl Wallinger, Bob Geldof… Alla fine c’è tanto di quel chiasso che decido di darmela a gambe prima dell’inizio del concerto dei Lepricorns. Mi accompagna una ragazza di cui nemmeno ricordo il nome e l’ennesima Guinness. Lecco rimane una città bellissima, e le musiche irlandesi conservano una magia incomparabile: si toccano con mano regni sconosciuti, dove Persefone ride.
La campagna di Russia di Napoleone Bonaparte del 1812 si risolse con una pesantissima sconfitta francese, con la morte di oltre 400mila soldati, centinaia di dispersi e prigionieri. Colpa del “piccolo caporale” che non aveva tenuto conto del nemico più terribile: il freddo (il cosiddetto “Generale Inverno”). Già a ottobre la temperatura era scesa sottozero e, a Smolensk, in piena ritirata, arrivò a toccare i -26 gradi. Chi riuscì a scampare al nemico non poté nulla contro il gelo e così la Grande Armata venne annientata. Alla luce di ciò sorprende sapere che fra i pochi sopravvissuti alla campagna di Russia ci fosse anche un concorezzese: Luigi Grassi. Di lui si sa pochissimo: è appena citato da uno studioso (Natale Farina, autore di “Memorie di Concorezzo”, del 1932), che menziona il nome senza riportare altri aspetti della sua avventura umana. Ma è abbastanza per comporre una canzone, “AVANTI MARSCH”, il singolo del nuovo disco dei RCMC in uscita fra una manciata di settimane!
Marelli 79, bel posticino. Incontro il famoso Pitillo. La serata si scalda alla fine, quando è ora di andare. Incontro Sara, una ragazza sestese che suona il basso. Si è appena esibita al Clockwork Orange con il cantautore irlandese Paul O’Riordan, di cui si sa poco o nulla. Promettiamo di risentirci per fare qualcosa insieme.
Un posto perso nella periferia milanese, dove d’estate si balla il liscio e si gioca a bocce e d’inverno si raccontano e tramandano storie. E’ la balera dell’ortica, dove questa sera avremo modo di parlare anche di Piero Manzoni, el pret da Ratanà, la cascina di Camuzzago, il fantasma del Mirabel, gli asparagi di Mezzago…
La donna, forse moglie del console e filosofo romano Severino Boezio, muore nel 487 d.C., a Grate, nei pressi di Vicus Mercati. Ha 45 anni e a ucciderla potrebbe essere stata un’epidemia di ergotismo, malattia causata da un fungo, molto diffusa nei primi secoli della storia italo-romana. Viene tumulata oltre via Ugo Foscolo, dalle parti del cimitero dei caduti; l’epigrafe conferma la presenza del cristianesimo in paese, e il superamento della fase pagana e dell’adorazione di divinità come Giove, testimoniata peraltro dal reperto trovato in villa Arbona (poi divenuta Schira-Corneliani) nel 1753. Passano i secoli e nella stessa zona sorge uno dei principali luoghi di richiamo religiosi del villaggio, l’oratorio di San Martino, forse il più antico in assoluto del borgo, insieme a quello di San Donnino: è qui che l’epigrafe di Primula (presumibilmente con molte altre) finisce incastonata in qualche muro, come si osserva in quasi tutte le chiese cristiane per omaggiare i defunti di un certo prestigio sociale. Nel 1599 arriva a Grate, divenuto nel frattempo Agrate, Abbiati Foreri, storico verbanese, che – basandosi anche sulle descrizioni di San Carlo – definisce il vecchio oratorio diroccato e fatiscente: ordina il suo abbattimento, suggerendo di conservare le strutture portanti e le iscrizioni funeree. San Martino viene raso al suolo e molte sue parti finiscono in piazza Sant’Eusebio e alla cascina Offellera. Trascorrono numerosi decenni, la chiesa parrocchiale si ingrandisce e sorge palazzo Borgazzi alle propaggini del paese, entrambi caratterizzati dai “rimasugli” del vecchio luogo di culto. Entra in scena don Giovanni Riboldi, parroco agratese dal 1838 che, come un paio di suoi predecessori, Lonati e Chiesa, ha a cuore la storia del paese e non perde occasione per raccogliere informazioni sulle notizie più antiche composte in un memoriale. La fortuna gli arride e nel 1853, quando decide di abbattere un muro della chiesa parrocchiale per fare spazio a una cappelletta, la sua passione viene definitivamente premiata. E’ il primo, infatti, a sbigottire di fronte a un’iscrizione che ha tutta l’aria di risalire all’epoca romana. Pensa, a ragione, che i muratori ne abbiano ritrovate altre, ma che probabilmente siano già state ridotte in briciole: nessuno, del resto, fino all’Ottocento, dava peso ai rinvenimenti archeologici (né ai fossili). Primula è di nuovo fra noi. Ma per poco. Riboldi è, infatti, amico di un prete milanese, don Luigi Biraghi, figura di spicco dell’intellighenzia religiosa meneghina del “secolo dei vocabolari”, responsabile del ritrovamento dell’urna contenente i resti di sant’Ambrogio e dei martiri Gervaso e Protaso; lo interpella e alla fine ritiene che la cosa migliore da fare sia regalare proprio a lui l’epitaffio agratese. Il Biraghi se ne torna felice a Milano con il suo bel fagotto che esibisce soddisfatto ai religiosi del collegio delle Marcelline, in via Amedei (a circa duecento metri da piazza Missori). La lapide romana finisce così per “abbellire” un muro del collegio, almeno fino al 1943. Il 13 agosto, infatti, la guerra impazza e sulla città piovono 667 tonnellate di bombe esplosive e 585 tonnellate di incendiarie, provocando oltre mille morti. Il 14 agosto si va avanti di questo passo e così il dì di Ferragosto, giorno in cui una bomba centra proprio il collegio riducendo in polvere ogni cosa, compreso il nostro reperto più prezioso. La città è un rudere, e le macerie vengono raccolte dai camion di Piero Bottoni,architetto milanese che in onore della moglie Elsa Stella, ha pensato di creare dal nulla una collinetta metropolitana di una cinquantina di metri utilizzando i detriti prodotti dai bombardamenti. Il rilievo artificiale, distribuito su una superficie di 370mila metri quadrati, è ancora oggi frequentato dai milanesi e forse anche da qualche agratese del tutto inconsapevole che sotto i suoi piedi “riposa” la traccia romana più antica del paesello d’origine.
Notte di tempesta, il Lambro ingrossato, freddo e un’umidità pazzesca. La trattoria Bjrot è nascosta fra le nubi, ci vuole arguzia per raggiungerla. Vi riesco dopo aver parcheggiato in una rientranza della strada, e aver consultato la mia cartina preferita; vivo all’antica e non ho la più pallida idea di come si utilizzi il navigatore. Io navigo altrove. Il posto merita, un tempo doveva essere una specie di dogana, si pagava il dazio per raggiungere il Grande nord. Da Carate arriva anche Alberto Patrucco per una cena frugale, abita a Carate, a un tiro di schioppo. Mi presento e scambiamo due chiacchiere. Non ricordava che una volta abbiamo diviso il palco insieme, nel corso di un tour con Davide Van De Sfroos.
Torniamo al Frequenze per registrare il nuovo disco. C’è anche Mauro Magnani. Sono dieci nuove canzoni folk. Con un paio di poppettoni, così tanto per divertirsi a fare musica a 360 gradi e a mandare in crisi gli austeri e prevedibilissimi recensori.
All’oratorio Padre Clemente di Agrate Brianza, mi chiamano per accompagnare i commensali durante l’inaugurazione di un’associazione. Suono con Mauro, Sergio e l’altro Sergio. Rimane poco della giornata, se non l’incontro con un signore che sembra provenire da un altro mondo. Mi chiede il microfono per mostrare cosa è capace di fare con il salterio. E’ una piccola magia. Il salterio è uno strumento straordinario, in grado di evocare grandi e nuovi orizzonti, mondi stranieri, volti bruciati dal sole, donne con il volto coperto, campanacci di bovidi che si abbeverano sulle rive del Tigri e dell’Eufrate. Vorrei saperne di più sul suo conto, ma si dilegua troppo in fretta, accompagnato dalla consorte proveniente dalle terre di Avalon.
Lui di origine polacca, lei con un vestito affascinante e una parlata che si perde in intelligenze distanti, in contrasto con il nome del locale, l’Ignorante. Quando arrivano i botti è già tutto compiuto, compreso il semi sfratto dei gestori. Andrea prova a fare quattro salti, ma con “Canzone quasi d’amore” di Guccini non è tanto facile. Cambiano le cose quando prende in mano il tamburo e a noi si unisce Gianluca con la sua verve. Corinne lo punta con i suoi occhi pieni di sentimento.
Torno sempre volentieri al Barcaiolo, a Pescarenico si aggira il fantasma di Manzoni e non perdo occasione di affrontarlo a singolar tenzone. Inutile dire chi fra i due ha la meglio. E’ la notte di Natale, nell’aria brillano mille luci e mille sapori, perfino la bontà si fa palpabile. Mario tarantola di qua e di là, Marta doveva esserci ma non c’è, forse rapita dai suoni algidi del Mojito. La notte scivola in un baleno, come le vicine acque dell’Adda, sempiterno e misterioso. Al ritorno penso di fermarmi per una messa di mezzanotte fuori porta. Ma non incrocio abbazie lungo il cammino, e alla fine rincaso pronto a trasformarmi in Babbo Natale.