Ospite di un liceo a Cantù, parlo della storia della musica milanese. Certo non è facile cantare “Il testamento dell’avvelenato” alle 8.30 del mattino, con appena quattro ore di sonno, tuttavia l’incontro scivola in un baleno. Un doppio incontro per la verità. I ragazzi sono i classici ragazzi di 18 anni, di oggi e di ieri, pieni di brufoli e di sogni. Alcuni sembrano molto interessati alla mia proposta, altri meno. Forse sono troppo serioso. Si scaldano con gli ultimi brani che probabilmente conoscono di più. Una bella esperienza, nonostante la pioggia battente, incessante, l’umidità che rompe l’asfalto. Un pensiero al bidello che mi ha tenuto compagnia fra una lezione e l’altra. Grandissimo intenditore di musica, nonché imitatore di Bruno Vespa e Sandro Ciotti.
Serata caldissima, grande partecipazione. Meglio di così non si può. Egregia location, perfino una partita a ping-pong. Massimo, il gestore, è candidato alle prossime elezioni. Mi sembra una bella persona. Una figlia, Federica, che sta a Londra, un figlio che non ho mai visto. Mi è sembrato molto soddisfatto della serata, e ne auspica delle altre. A me va benissimo. Ho venduto anche un po’ di cd e un paio di persone mi hanno chiesto se sono disponibile per altri live. C’erano anche Fabi, Sofi, Ceci, Cami, Andre e Annina. Le bambine mi sembravano felicissime. Cantavano a squarciagola canzoni che ormai sanno alla perfezione.
Credo che il 25 aprile abbia un valore antropologico e sociale prima che politico. E proprio sotto quest’aspetto mi piacerebbe (de)cantarlo, spogliandolo dalle strumentalizzazioni che si porta dietro da una vita. Ma è anche l’occasione per riportare l’attenzione su una complessa pagina della storia novecentesca, quella del primo conflitto mondiale, di cui proprio quest’anno ricorre il centenario. Ci sono canzoni che narrano la storia di uomini e donne che non andrebbero dimenticate, perché in fondo parlano di noi stessi, come sempre imbarazzati di fronte a una nuova esperienza bellica. Si va dai moti milanesi del ’48, al conflitto in Afghanistan, passando per Caporetto, lo sbarco in Normandia, la guerra civile in Spagna, la diaspora greca degli anni Venti. Venerdì sera, alla Spilleria, peseranno soprattutto le parole.
Beh, sono cresciuto con la canzoni di Svampa e ora poter dividere con lui il palco è davvero un piacere/onore. Grazie a un nuovo invito di Davide Van de Sfroos e all’atavica passione per nebbie, cascine, pellagre e Ave Maria…
Suonare all’osteria Marascia è sempre un po’ come tornare a casa. C’è aria di famiglia e il posto è a dir poco incantevole. Stasera prima di darci dentro ho avuto modo di visitare il famoso monastero che sorge nelle vicinanze. E’ vecchissimo. Il chiostro è davvero affascinante. Mi sono soffermato su un affresco devastato dall’umidità, ma così vivo e carico di anni. Ho ripercorso con un dito il sublime disegno di un Cristo sofferente. Oggi venerdì santo, è stato perlomeno singolare. Fuori si preparava la processione, mentre i miei polpastrelli si prestavano all’ennesimo… calvario.
La proprietaria dell’Acquabella mi dice che è un grande musicista. Io di primo acchito non lo riconosco, pur avendolo visto in dvd (in realtà sono passati quindici anni dalla registrazione in esame, ed è parecchio cambiato). Lo considero di striscio, domandandogli se anche lui suona la chitarra. Lui umilmente mi dice che suona il piano. Era Mark Harris, leggendario pianista e fisarmonicista nell’ultimo tour con Fabrizio De Andrè e ora al fianco di Antonella Ruggero. Riparo in corner, disquisendo sul Maestro e su una serie di vicissitudini che mi racconta: Fabri non era così buono come si dice (ma già lo sapevo). Interessantissima persona. Gli lascio il mio cd.
Un giorno mi chiesero il motivo per cui provo un attaccamento morboso per tutti i paesi che si celano al di là del confine orientale italiano. Ho tentato di dare una risposta, ma con scarsi risultati. Oggi, però, so chi può rispondere al posto mio, Paolo Rumiz, all’indomani del suo (bellissimo) pezzo pubblicato per OBC, che così analizza il suo amore per i Balcani: «Potrei parlarvi di odio e scannamenti, di profughi e kalashnikov; dirvi di una terra lacerata con l’occhio gelido della geopolitica. Invece no. Vi dirò dei suoni di un mondo inquieto, dell’acustica che nasconde l’anima dei suoi luoghi. La mia anima è piena di quelle frequenze. Essa li cerca come Orfeo e la sua cetra, gli va dietro oltre il confine del mondo dei vivi, là dove abita Persefone. Sente che quei suoni partigiani resistono alla grande omologazione globale, alla tirannia del pensiero unico». Ma varrebbe la pena leggerlo tutto, una lezione di vita e scrittura…
Mi si affianca tremebondo e con voce flebile mi chiede di cantargli “Luci a San Siro”. E’ squisito nella sua delicatezza e gentilezza. E’ Augusto Vidali, un poeta di 86 anni. Sono felicissimo di accontentarlo, poi torna da me e mi racconta numerosi aneddoti sulla sua lunga vita. Si è sposato negli anni Cinquanta, dopo essersi laureato in chimica, al politecnico di Milano. Ma ha sempre amato la poesia. Mi promette di spedirmi il suo libro. Lo ringrazio di cuore. Mi dice che è un piacere avermi conosciuto e stringendomi la mano mi abbandona una banconota da dieci euro. Il più bell’incontro avuto finora alla Galeria.
Davvero in culo ai lupi, ma la strada è piena di vecchi casolari sui quali soffermare l’attenzione e dare sfogo ai sensi. Si va verso la bassa, il cremasco, l’aria è satura di primavera, di sterco e concime. Cambiano i connotati degli orizzonti. Qui senza navigatore è un bel casino. Ma con la solita cartina viaggio senza problemi, fino a pochi chilometri da Crema. Poi una serie di stradine a zigzag e si arriva, al Faro. Conosco Salvatore e suo figlio. Salvatore ha costruito un piccolo impero negli anni. E’ una persona dolce e apparentemente riservata. Soffre di balbuzie. Ama il teatro. E’ un po’ arrabbiato perché sotto il suo locale hanno allestito una specie di sexy shop. Dice che gli ha allontanato molti clienti. Crema è piena di gente bigotta. Suono di fronte a un nugolo di persone. C’è anche una famiglia italo-ecuadoregna. Mi offrono da bere e mi invitano a suonare a una loro festa imminente. Abbiamo già fissato la data.
Fra le più belle sere che mi siano capitate da quando sono in giro da solo a suonare. Duecento a occhio e croce le persone presenti, più o meno ansiose di assistere a “Roba da Signor G”. Incontro anche un mio grande vecchio amico che non vedevo da tempo e consumo sbrigativamente un aperitivo. Alberto dice che potremmo fare anche la serata sui Promessi Sposi, audace, dico io. Non sarà la stessa cosa, ma varrà la pena provarci. Ne parliamo per un martedì sera. Penso a Nada che ha suonato qui a Mariano, al Circolo, qualche giorno fa, forse ieri. Mi piace Nada.