6 luglio 2014
DIARIO 0 CommentiCalimeri
con mero a caccia di fantasmi…
con mero a caccia di fantasmi…
«Wanda è Agata Kulesza, molto conosciuta in Polonia, anche in teatro; Ida, cercata attraverso centinaia di provini, anche con molte suore frustrate, alla fine l’ho trovata in un bar. Si chiama Agata Trzebuchowska, studia filosofia dell’arte, non aveva mai recitato e mai più reciterà. Perfetta». Pawel Pawlikowski
Ieri sera una felice visita al protagonista della canzone “L’uomo del fiume”. Un ometto di 90 anni, ancora in gamba e pieno di ricordi. Mi ha raccontato dello zingaro, Pedro, e delle mille volte che ha attraversato l’Adda a nuoto. Ha perfino salvato tre persone dall’impeto dei mulinelli e soccorso una nipotina alla quale un cane aveva letteralmente mangiato il naso. Vive in una bellissima casa di fine Ottocento, con un magnifico panorama sul Resegone e il fiume sottostante. Alla fine non sapeva più come ringraziarmi; ma sono io che gli devo qualcosa per l’incredibile bagaglio di storie di cui ora potrò farmi portavoce. C’è tanto di quel materiale da poter farne un disco (o un romanzo). Prima di congedarmi mi ha donato un po’ di frutta e verdura del suo orto e due bottiglie di vino pregiato. Rientro a casa piacevolmente inebriato, pronto a buttarmi sull’ultimo Gospodinov.
parafrasando De Gregori…
E così è casualmente saltato fuori questo cimelio, un brano che avevo rimosso, e che ho composto nel lontanissimo 1991. Ero appena tornato dall’Africa, e un ragazzo di una decina di anni più grande di me, mi aveva appena fatto ascoltare “L’avvelenata” di Guccini. Mi si aprì un nuovo mondo. Come si evince dal testo, peraltro, si poteva ancora beatamente fumare nei locali…
OSTERIA
E l’una è già suonata
Gli echi dei brindisi sono andati
E il firmamento
Regna sulla storia
Giornate appagate dal riso dei minuti
E spensierate parole vane
Fra un bicchiere e l’altro
La politica si riveste di strane forme
L’anarchia è un’utopia
E il comunismo è morto
Menti stanche e stolte
Vaneggiano sulla vita
Un discorso tira l’altro
E il tavolo si ravviva
Si smorza la schiuma nei bicchieri
Fumate si dileguano
Creando forme immani fra le mura
Le donne sono tante e ravvivano la memoria
Giocate nel timore
Nell’incertezza della gloria
Passa stanco e lento il tempo della sera
Chiacchiere contorte
Fan più chiasso anche dei tir
Gioventù modello, gioventù bruciata
Fenomeni diversi
Che vivono la giornata
Pensare e non mentire
Cercare e poi scoprire
Il domani dietro l’angolo
Fatto di speranze
E l’una è già suonata
Gli echi dei brindisi sono andati
E il firmamento
Regna sulla storia
Giornate appagate dal riso dei minuti
E spensierate parole vane
Fra un bicchiere e l’altro
La politica si riveste di strane forme
L’anarchia è un’utopia
E il comunismo è morto
1991
serate come queste niente di speciale, ma un giro per città studi e vecchi ricordi, e vecchi poster di combattenti obsoleti e un po’ naif, poi un piccolo miracolo. l’indiano che entra sempre mogio con il suo mazzo di rose e se ne va con lo stesso sguardo malinconico, oggi nemmeno lui poteva crederci. un tipo ben vestito, in là con gli anni, gli ha detto “compro io tutti tuoi fiori”. alla fine s’è arreso all’evidenza. s’è congedato felice come una pasqua mentre il benefattore consegnava a ogni donna presente la sua rosa.
foto di una tipa di indianapolis, (molto) simile ai miei gusti…
L’11 luglio parlerò del mio libro sulla storia della musica francese alla Cittadella della Cultura. Ho previsto la proiezione di una quindicina di video dedicati ad alcuni dei principali epigoni delle sette note d’oltralpe. In fondo non è così diverso dalle serate simil teatrali in cui propongo brani folk alla chitarra classica. Anche qui si vorrà ricreare un mondo lontano, ma forse paradossalmente molto più vicino di altri. E sarà, speriamo, come rivivere una romantica sera in un bistrot di Montmartre.
Un amico giapponese incontrato da poco…
Rivedendo questo video di Bob non sono tanto la sua giovinezza o la sua esilità a colpire, quanto l’attenzione del pubblico, assoluta, calata in un silenzio apocalittico. La conferma che dagli anni sessanta a oggi non si è verosimilmente perso il buon gusto per la musica, ma solo uno dei modi più appropriati e intelligenti per assaporarla: avvicinandosi con rispetto all’artista per sentire cos’ha da dire.