Folksinger, storyteller, chansonnier, cantastorie, trovatori, sono parole diverse per dire in fondo la stessa cosa: l’attitudine a raccontare in musica delle storie. In realtà la vera origine di questa encomiabile attività rimanda a epoche ben più lontane, a millenni fa, all’epopea della civiltà greca. E’ in questo contesto storico che presero, infatti, vita gli aedi e i rapsodi che decantavano le gesta di antichi eroi attraverso le note e la poesia. Così sono giunti fino a noi capolavori come l’Iliade e l’Odissea. A essi dunque vorrei tornare per la trasposizione musicale e letteraria della guerra di Troia, la terza e ultima fase della Trilogia epica, dopo I Promessi Sposi e la Genesi patriarcale. La credevo un’impresa titanica e insormontabile, ma dopo le prime timide canzoni su Achille, Elena e Agamennone, comincio finalmente a pensare che potrà avere un degno epilogo. Non so quale sarà il suo destino – e sinceramente m’importa relativamente saperlo – l’importante è essere partiti di nuovo con il vento in poppa.
addio vecchia carretta grazie di tutto 300mila km di viaggi e canzoni e tanto altro possa rincuorarti il fatto che il nuovo mezzo ha un nome tanto astruso che mi rifiuto di impararlo
La sfida più dura di tutte, la trasposizione in musica e parole dell’Iliade, o più precisamente della Guerra di Troia; ma i primi due brani sono già archiviati, Elena di Troia e l’ira di Achille. Avanti tutta… con Agamennone?
I rom sono una risorsa che non abbiamo mai saputo interpretare. Non si può obbligare qualcuno che è stato cacciato da ogni casa per mille anni ad adeguarsi a sistemi che non sa comprendere. Tocca al paese civile la prima mossa, una mossa che non c’è mai stata. La vera feccia della società è un’altra cosa: è l’incapacità di filtrare correttamente i resoconti della storia. Così si cade sempre nello stesso punto, nello stesso modo.
Così compresi di amare il mondo dei rom, anche se certo la dicitura locale poteva non sposare perfettamente il romanticismo suscitato da determinati contesti artistici. Tuttavia finii con l’apprezzare moltissimo un regista algerino di nome Tony Gatlif, figlio di madre gitana e padre cabilo. L’intera sua produzione cinematografica aveva (ha) a che fare con il mondo dei rom e un film dopo l’altro mi decisi alfine di dedicargli un pezzo. Era una sera alticcia, estiva, divertente e zigana, come questa…
beh insomma io conosco lui da tanto tempo (sì e no da puerto plata market) lui non me è ovvio ma fa piacere (e incuriosisce) pensare che possa avere letto e apprezzato le mie due righe
Saputolo all’improvviso presi al volo l’occasione, benché mi sembrasse una montagna gigante da scalare. Oggi s’è appiattita ed è ormai discesa, al punto che mi chiedo se e quando mi capiterà ancora di fare il prof. Ma è stata una bella avventura che comunque andrà avanti ancora per qualche mese, e molte altre partite a pingpong.
C’era un tipo incredibile l’anno scorso quando andavo a suonare all’Acquabella. Stava sempre solo, mangiava solo. Mi dicevano che era meglio lasciarlo perdere perché logorroico. Se attaccava bottone era la fine. Parlava solo di cinema. Lo sentii una sera parlottare di Wenders. Apriti cielo. Dopo pochi minuti intrecciai con lui il primo discorso. Si presentò dicendomi che non aveva ancora 40 anni, viveva con i genitori, frequentava solo signore over cinquanta e non si era ancora laureato. Mi disse che andava bene così, che non era intenzionato a cambiare, era ricco di famiglia, e non avrebbe avuto problemi a proseguire in quella maniera. «Sì lo so, faccio schifo». Lo disse con aria serena, simpatica. Lo salutai e me ne andai a strimpellare. Alla fine mi dissero che era già andato a casa, ma mi aveva lasciato un biglietto. Erano i cento film più importanti della sua vita. Non l’ho più rivisto. E non avendo mai saputo il suo nome non saprei rintracciarlo. Ma una volta a casa ho recuperato la lunga lista di lungometraggi: Ozu, Tati, Tarkovskij. Uno più bello dell’altro. Un bellissimo ed elegantissimo modo di salutarsi e, forse, dire grazie.
Caro Charles, sai bene che oggi è il tuo ‘santo’ giorno, che da lustri si festeggia in tutto il mondo e io celebro ogni anno brindando alla tua salute. Ma il Darwin day quest’anno ha per me un sapore particolare, coincidendo con la prima volta in cui racconterò la tua parabola esistenziale a dei ragazzi, cercando di inculcargli la poesia della teoria evoluzionistica. Non sarà facile ma, insomma, cercherò di renderti degnamente omaggio, conscio del fatto che senza di te anche la mia storia sarebbe stata molto più banale.
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