4 maggio 2016
DIARIO 0 Commentidopo i live e il gran paradiso
un anno dopo a ceresole, nello stesso rifugio, la volpe e le cime aguzze. e prima una sera speciale a mariano comense. da dove si riprende?
un anno dopo a ceresole, nello stesso rifugio, la volpe e le cime aguzze. e prima una sera speciale a mariano comense. da dove si riprende?
ieri felice serata con molti amici ospiti, un tributo alla canzone milanese e non solo… ci vediamo domenica a Mariano Comense!
Da tre anni a questa parte giro balere e osterie contribuendo a tenere vivo il verbo della canzone milanese, presto destinato all’oblio, con lo spettacolo “Roba da signor G”. Per la prima volta, con la preziosa collaborazione di Claudio Meregalli, Sergio Ferrari, Mauro Bernabovi, Sergio Sala, Rudi Segalini, Cira Flaminio, Gianni Chi, lo proporrò ad Agrate Brianza, domani sera, alla Rigoni Stern. Canzoni dal Seicento a oggi, un lungo viaggio nel tempo e nello spazio, ché la storia della canzone milanese è molto più intrigante di quanto si immagini, rimandandoci addirittura alla Tracia di 40mila anni fa. Se hai voglia di viaggiare con la fantasia e non solo… potrebbe essere lo spettacolo per te. A domani!
Cari amici,
vi presento “Vimercate Caput Mundi”, il primo cd musicale interamente dedicato alla storia del centro brianzolo. Un’antologia alla Spoon River ispirata a dieci personaggi che, in momenti diversi della storia, hanno contribuito all’affermazione del borgo. Si va dal filosofo Antonio Banfi, a San Francesco d’Assisi (che favorì la costruzione dell’oratorio di Oreno); da Francesco Sforza, a Vittorio Emanuele II (che soggiornò per un breve periodo a Vimercate: si conserva ancora la tazzina di caffè nella quale bevve). Non sono solo figure illustri. Ci sono anche Corradino, cavallerizzo del Duecento, o Cajo Cesare, morto di colera nel 1855, fresco sposo di Luigia Galimberti. La copertina esprime fedelmente il continuum temporale che ci rappresenta: da una parte le Torri, dall’altra un vecchio casolare. E’, in realtà, il traguardo di un cammino iniziato cinque anni fa con “L’antologia” (Agrate) e “Uomini e no” (Concorezzo); che permette di chiudere la cosiddetta “Trilogia del Villaggio”, una quarantina di canzoni (fra folk, bluegrass, bossa nova, garage, rock, italo-disco) che ripercorrono la storia del vimercatese dal 300 d.C. a oggi. Il cd, patrocinato dal comune di Vimercate, verrà presentato in estate presso villa Sottocasa. Se qualche amico desiderasse averlo, può scrivermi al seguente indirizzo: info@gianlucagrossi.net. Il cd sarà a disposizione anche durante i live estivi e in vendita sulle principali piattaforme digitali.
La tracklist:
1. Io e il colera (Cajo Cesare)
2. La cassuolata (Don Romeo Rosa)
3. Bandoneon (Carlo Donetti)
4. Cronache sacre (Vittorio Brambilla)
5. Il borghese (Francesco Sforza)
6. Corradino (Corradino da Vimercate)
7. Lettera ad Antonio Banfi (Antonio Banfi)
8. Diritto di asilo (Luigi Ponti)
9. Laudate Dominum (San Francesco d’Assisi)
10. Una tazza di caffè (Vittorio Emanuele II)
ieri c’erano perfino dei ragazzi che arrivavano da rho e conoscevano le nostre canzoni. non succede spesso. è stato piacevole. grazie!
certo è sempre intrigante il casolare circondato dalla natura selvaggia, ché siamo anche noi parte di un’ancestralità onnivora che per quanto si possa progredire rimarrà sempre insita nella nostra specie. una lezione morale alla quale dovremmo tutti (ri)abituarci
C’erano due buchi dove amavo rintanarmi quando c’era in programma qualche lezione pallosa: Metropolis dischi e la libreria Puccini di corso Buenos Aires. Mi piaceva perché aveva libri che non esaltavano le mode correnti e dove si potevano trovare titoli assurdi tipo “La magia nella Lombardia del seicento” o “Novelle bulgare di autori perduti”. Oggi, però, la triste notizia: dopo cinquant’anni la Puccini chiude. Il motivo è lo stesso che si sente da mesi: la gente non legge più. (Crede di leggere su internet, ma non è la stessa cosa). Dunque è ufficiale: librerie, edicole, botteghe, diventano icone dell’Otto/Novecento e io… un individuo sempre meno al passo coi tempi, ma sempre più orgogliosamente vintage.
Seguivo l’altro dì un documentario su Mondrian. Raccontava la sua perfezione, la sua ossessione. La tendenza a fare quadrare tutto. Anche la stanza dove abitava. I letti, i comodini, il wc. I colori. Così la tentazione è stata forte e l’astrattismo geometrico si è imposto.
Sarà la mia prima volta da cantautore a Praga, e altri appuntamenti, diciamo, più tradizionali; dacché vari amici e parenti mi chiedono quando e dove suonerò. Ecco il calendario (più o meno) dettagliato fino a metà maggio. Vi aspetto!
Sabato 9 aprile @ Galeria dell’Ortica (Milano)
Venerdì 15 aprile @ Galeria dell’Ortica (Milano)
Giovedì 21 aprile @ Locomotiva (Vimercate)
Giovedì 28 aprile @ Sala Rigoni Stern (Agrate Brianza)
Venerdì 29 aprile @ Galeria dell’Ortica (Milano)
Domenica 1 maggio @ Il Circolo (Mariano Comense)
Sabato 6 maggio @ Galeria dell’Ortica (Milano)
Mercoledì 18 maggio @ Locanda italiana (Praga)
Ho scritto un articolo per Piacenza Sera… in occasione della festa dell’8 aprile… lo riporto integralmente…
Rom e sinti. Bastano due parole per mandare in crisi molti italiani. Un po’ perché quasi nessuno sa la differenza fra i due, un po’ perché da sempre, entrambi i gruppi etnici, subiscono lo stigma della società; e dunque, meno se ne parla meglio è. Ma venerdì 8 aprile è il loro giorno, ossia la Giornata internazionale del popolo rom e sinti. L’ha ufficializzato l’Onu nel 1979. Peccato che nessuno se lo ricordi. A livello istituzionale si fa qualcosa in alcune delle principali città italiane, a Roma e a Milano, a Mantova, dove in piazza dei Martiri di Belfiore ci sarà una vera kermesse in loro onore. Ma il resto dell’Italia sta in silenzio. Il che suona piuttosto inverosimile se si pensa che ogni pretesto è buono per festeggiare qualcosa o qualcuno. Siamo arrivati a fare festa perfino agli asparagi o alla marijuana, ma nulla che riguardi una popolazione che vive con noi da secoli. Rom e sinti fanno parte dell’ampio raggruppamento definito popolazione romanì. Benché dispregiativo, a essi si rifà il termine “zingari”. Sappiamo pochissimo di loro, ed è questo il motivo per cui fra gli europei autoctoni e gli “zingari” non c’è mai stato dialogo. Il risultato è stato una frammentazione culturale che ora con grande difficoltà potrebbe essere rimarginata. Ed è un peccato perché i rom e i sinti sarebbero potuti essere una risorsa, e lo potrebbero ancora diventare se qualcuno avesse il desiderio di affrontarli non solo in termini giuridici e burocratici, ma anche, semplicemente, umani. Arrivano da un lunghissimo cammino iniziato in India mille anni fa. Difficile ricostruire con esattezza la loro storia, anche perché non esiste una documentazione scritta valida (è un popolo che non ha mai fatto la guerra, e quindi poco importante in termini storici). Quel poco che si sa rimanda a un capo persiano che chiese a un leader indiano donne e uomini che potessero rappresentare il suo nuovo popolo; l’attenzione cadde su un’etnia del nord ovest dell’India. Il capo persiano diede agli indiani semi e animali da allevare, ma dopo un anno non avevano prodotto nulla; di fatto, loro non avevano mai lavorato la terra, sapendo in compenso suonare molto bene. Lo scià si adirò a tal punto da costringerli a fuggire; una diaspora che prosegue ancora oggi. Dall’India arrivarono in Persia e in Armenia. Dall’Armenia, ai Balcani, all’Egitto, all’Europa. Non gli andò sempre male. Perché in alcune nazioni ebbero modo di fare valere le loro capacità. Divennero anche fabbri, cavallerizzi, qualcuno perfino si arricchì. In realtà quasi tutti cominciarono a osteggiarli, bollandoli spesso di colpe che non avevano: furti, linciaggi, traffici loschi di ogni tipo. Se c’era qualche casino, era sempre colpa dello “zingaro”. Così sono finiti per essere emarginati al punto tale da non poter più reintegrarsi. Ormai il divario fra la società cosiddetta civile e il popolo rom è così ampia che occorrerebbe un programma di recupero globale, che possa, nei limiti della ragionevolezza, comprendere ogni cittadino italiano. Un impegno difficilissimo; ma anche l’unico in grado di equilibrare davvero le sorti di etnie che non sono state tutte fortunate nello stesso modo. I rom non sono i rumeni. Ma hanno molte cose in comune con altro popolo perennemente in fuga: gli ebrei. E non è un caso che i violinisti più bravi siano rappresentati proprio da rom o da ebrei: il violino era l’unico strumento che si poteva portare con sé dovendo scappare di paese in paese. Oggi la situazione “zingari” in Italia è drammatica. E lo è ancora di più dei decenni passati perché la crisi impera; e il disappunto delle famiglie italiane sempre più in difficoltà mal si accorda con la necessità di servire un popolo che viene erroneamente giudicato parassita. Ma la giornata di venerdì 8 aprile che nessuno vuole festeggiare serve proprio a questo: a capire meglio in che modo popoli diversi possono confrontarsi per crescere sinergicamente. Da qui può partire l’idea di una condivisione culturale che non c’è mai stata; da qui dovrebbe partire la crescita sana di uno Stato che non può e non deve più prescindere dal benessere di chi viene a farci visita o vive al di là dei nostri confini. Sarà questa l’unica vera rivoluzione del futuro.