C’era una volta il Bloom

5 ottobre 2016

Non so come spiegare il Bloom e quel che può essere stato per un ragazzo appena diplomato che amava la musica. Era quanto di meglio potesse capitargli sotto mano. Ricordo Andy White, Steve Wynn, i Dodgy, Richard Thompson. Una sera con Ricky Gianco, Massimo Bubola, una chiacchierata al bancone del bar con il batterista dei Modena City Rambles. L’inverno. Perché il Bloom si viveva col freddo, la neve, la nebbia. C’era il solito odore di umido, misto al fumo di sigarette e hashish. Al sabato sera era una camera a gas, e spesso i volumi erano insostenibili e a casa le orecchie fischiavano per giorni. C’erano i bagni coperti di scritte, inneggianti al punk e alla lotta di classe, o a gruppi cult come i Camper Van Beethoven o i The Del Fuegos. Ma era tutto molto poetico. Ci ho vissuto per anni, e ora so che è molto meno brillante di allora. E mi dispiace. Forse è nostalgia. Forse è giusto così: un segno dei tempi. La musica è cambiata, e così il destino dei posti che ospitavano quella più irriverente ma, senza dubbio, migliore di ogni altra.

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