Come accade in medicina, per procedere nella cura di un malato si parte dall’anamnesi, si valutano cioè gli aspetti che hanno caratterizzato in passato la sua salute. Lo stesso dovrebbe accadere per ciò che riguarda gli eventi inaspettati che si verificano all’interno di una società, di un popolo, di un movimento religioso o politico. Se non si compie quest’azione si rischia di formulare tesi distorte, che non possono fare altro che allontanare l’immaginario collettivo dalla verità. Dal passato, quindi, si dovrebbe partire anche per comprendere la tirannia del radicalismo religioso, per poi poter correttamente gettare le basi perché fatti simili non si ripetano più. Non serve risalire all’inizio della storia dell’Islam, e nemmeno soffermarsi sulle crociate, di cui tanto si parla quando c’è da chiarire i rapporti fra oriente e occidente. Basta partire dal 1683. Dai turchi che, a Vienna, vengono spazzati via nella battaglia di Kahlenberg, da un capo polacco, Sobieski. Muoiono 15mila musulmani, a fronte di 2mila cristiani. Napoleone sconfigge in Egitto i mamelucchi che vivono in Nord Africa da cinquecento anni. La Francia occupa Algeri nel 1830. Poi assoggetterà il Marocco e la Tunisia. Gli italiani sbarcano in Libia, in Eritrea e in Somalia. L’Egitto cade nelle mani degli inglesi e così il Sudan. Il colonialismo è un dato di fatto, così il razzismo. Nell’Ottocento i cristiani comandano in tutti i paesi arabi, e i seguaci di Allah sono obbligati ad accettare le condizioni dell’occidente. Per decenni. Cercano di ribellarsi, ma la potenza europea è impareggiabile. Ci provano, ma con pessimi risultati. Uno su tutti. 1898, poco più di cento anni fa, in Sudan, 60mila musulmani si catapultano sugli inglesi – dominatori nella loro terra – per dire fine all’usurpazione dei loro diritti e dei loro territori; ma al termine della battaglia si contano 60mila islamici morti e appena 48 inglesi. Si passa al Novecento. Ci sono ancora molti scontri. Tutti a favore degli occidentali. Fino alla recentissima storia. Le battaglie con gli americani in Iraq e in Afghanistan. Inutile dire a chi è andata la vittoria. Ora, nessuno intende giustificare il radicalismo religioso, ma per poter dare un significato preciso a quel che sta accadendo è necessario ricordare che il fondamentalismo islamico nasce soprattutto dal senso di penosa inferiorità e debolezza in cui il ‘dar al Islam’ (il regno dell’Islam) si è sempre trovato rispetto al mondo cristiano. E tutto ciò dovrebbe portare a una riflessione, o perlomeno indurci a supporre che in parte siamo anche noi complici di questo epilogo. E il motivo è molto semplice: non c’è mai stato un oggettivo e costruttivo dialogo fra Islam e cristianesimo, perché se ci fosse stato, se le cose fossero state gestite con il buonsenso e non con le armi e con il sangue, forse non ci ritroveremmo a manovrare situazioni tanto difficili. E’ troppo comodo risolvere la disanima suggerendo ai moderati dell’Islam (quasi due miliardi di persone pacifiche che sostanzialmente credono negli stessi precetti elencati nei vangeli) di uscire allo scoperto e gridare nelle piazze che i terroristi sono solo dei pazzi sanguinari. Occorre valutare un modo nuovo di compenetrare le realtà sociali, politiche e religiose che ci circondano, con rispetto, stima e umiltà. E non con la sufficienza e il pressapochismo con cui da sempre guardiamo il mondo delle moschee. E proprio noi che dall’impero romano in poi abbiamo gestito le sorti del pianeta dovremmo essere i primi a muoverci in questa direzione. Chiudo con le parole di un bravo storico, Franco Cardini: «Noi dimentichiamo, autoassolvendoci, di aver per secoli sfruttato e sottomesso i paesi musulmani alla nostra politica coloniale che non era proprio una logica di libertà, ma con la nostra idea di libertà noi ci crediamo i puri, i buoni e tutti gli altri i cattivi. Mi pare una lettura affrettata e semplicistica. I cristiani abitano la parte privilegiata del mondo che ha in mano i destini economici, finanziari e tecnologici dell’umanità; se usiamo male queste leve con politiche sbagliate, la responsabilità è solo nostra». E’ stato così in passato, e senza un dialogo aperto e sincero con l’Islam sarà così anche domani. Ammesso che non sia ormai troppo tardi.