Hanno già chiuso un sacco di giornali, ma la fine dell’Unità mi lascia con un’amarezza in più. Non per la politica, o per avere esordito sulle sue pagine come giornalista scientifico; ma perché con essa se ne va anche un immaginario al quale continuo a rimanere affezionato. 90 anni di storia italiana, il fantasma di personaggi altisonanti come Gramsci, il fondatore, le canzoni di Guccini degli anni Settanta; e per stare più al passo coi tempi, le pagine del quotidiano tutte spiegazzate sui tavolini del Basel di Oreno o di qualche altro circolo della zona, così demodè, così provinciale, così legato al culto di un asso di cuori, di una bocciofila, di un buon bicchiere di rosso. Non è tanto la morte di un quotidiano, quanto la morte di un’idea. E quando se ne va un’idea, che sia condivisa o meno, è sempre una sconfitta.