La donna, forse moglie del console e filosofo romano Severino Boezio, muore nel 487 d.C., a Grate, nei pressi di Vicus Mercati. Ha 45 anni e a ucciderla potrebbe essere stata un’epidemia di ergotismo, malattia causata da un fungo, molto diffusa nei primi secoli della storia italo-romana. Viene tumulata oltre via Ugo Foscolo, dalle parti del cimitero dei caduti; l’epigrafe conferma la presenza del cristianesimo in paese, e il superamento della fase pagana e dell’adorazione di divinità come Giove, testimoniata peraltro dal reperto trovato in villa Arbona (poi divenuta Schira-Corneliani) nel 1753. Passano i secoli e nella stessa zona sorge uno dei principali luoghi di richiamo religiosi del villaggio, l’oratorio di San Martino, forse il più antico in assoluto del borgo, insieme a quello di San Donnino: è qui che l’epigrafe di Primula (presumibilmente con molte altre) finisce incastonata in qualche muro, come si osserva in quasi tutte le chiese cristiane per omaggiare i defunti di un certo prestigio sociale. Nel 1599 arriva a Grate, divenuto nel frattempo Agrate, Abbiati Foreri, storico verbanese, che – basandosi anche sulle descrizioni di San Carlo – definisce il vecchio oratorio diroccato e fatiscente: ordina il suo abbattimento, suggerendo di conservare le strutture portanti e le iscrizioni funeree. San Martino viene raso al suolo e molte sue parti finiscono in piazza Sant’Eusebio e alla cascina Offellera. Trascorrono numerosi decenni, la chiesa parrocchiale si ingrandisce e sorge palazzo Borgazzi alle propaggini del paese, entrambi caratterizzati dai “rimasugli” del vecchio luogo di culto. Entra in scena don Giovanni Riboldi, parroco agratese dal 1838 che, come un paio di suoi predecessori, Lonati e Chiesa, ha a cuore la storia del paese e non perde occasione per raccogliere informazioni sulle notizie più antiche composte in un memoriale. La fortuna gli arride e nel 1853, quando decide di abbattere un muro della chiesa parrocchiale per fare spazio a una cappelletta, la sua passione viene definitivamente premiata. E’ il primo, infatti, a sbigottire di fronte a un’iscrizione che ha tutta l’aria di risalire all’epoca romana. Pensa, a ragione, che i muratori ne abbiano ritrovate altre, ma che probabilmente siano già state ridotte in briciole: nessuno, del resto, fino all’Ottocento, dava peso ai rinvenimenti archeologici (né ai fossili). Primula è di nuovo fra noi. Ma per poco. Riboldi è, infatti, amico di un prete milanese, don Luigi Biraghi, figura di spicco dell’intellighenzia religiosa meneghina del “secolo dei vocabolari”, responsabile del ritrovamento dell’urna contenente i resti di sant’Ambrogio e dei martiri Gervaso e Protaso; lo interpella e alla fine ritiene che la cosa migliore da fare sia regalare proprio a lui l’epitaffio agratese. Il Biraghi se ne torna felice a Milano con il suo bel fagotto che esibisce soddisfatto ai religiosi del collegio delle Marcelline, in via Amedei (a circa duecento metri da piazza Missori). La lapide romana finisce così per “abbellire” un muro del collegio, almeno fino al 1943. Il 13 agosto, infatti, la guerra impazza e sulla città piovono 667 tonnellate di bombe esplosive e 585 tonnellate di incendiarie, provocando oltre mille morti. Il 14 agosto si va avanti di questo passo e così il dì di Ferragosto, giorno in cui una bomba centra proprio il collegio riducendo in polvere ogni cosa, compreso il nostro reperto più prezioso. La città è un rudere, e le macerie vengono raccolte dai camion di Piero Bottoni,architetto milanese che in onore della moglie Elsa Stella, ha pensato di creare dal nulla una collinetta metropolitana di una cinquantina di metri utilizzando i detriti prodotti dai bombardamenti. Il rilievo artificiale, distribuito su una superficie di 370mila metri quadrati, è ancora oggi frequentato dai milanesi e forse anche da qualche agratese del tutto inconsapevole che sotto i suoi piedi “riposa” la traccia romana più antica del paesello d’origine.